di Salvo Barbagallo
Con l’accavallarsi degli avvenimenti degli ultimi giorni, dall’attentato a Nizza al tentativo di colpo di Stato in Turchia, la questione migranti/profughi è passata in ultimo piano. Eppure sono proprio gli ultimi accadimenti – e in particolar modo quanto è accaduto in Turchia – che dovrebbero porre maggiormente l’attenzione su quanti fuggono per raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo e sbarcando principalmente in Sicilia. Un flusso ininterrotto che giunge nell’Isola, riempie in maniera incredibile i centri di accoglienza per poi disperdersi in tempi rapidi, lasciando spazio ai nuovi arrivati. Difficile il controllo dei disperati (quando può essere veramente attuato), fra i quali (con facilità) possono infiltrarsi jihadisti. Dopo l’attentato di Nizza in Italia sono state rafforzate le forze di sicurezza, maggiore vigilanza sugli obbiettivi cosiddetti “sensibili”, in Sicilia (almeno in apparenza) poco o nulla è cambiato. D’altra parte c’è la consapevolezza dei limiti della prevenzione nel caso di azioni criminali da parte dei “lupi solitari” legati, in modo o in un altro, al Califfato nero jihadista.
Ora c’è da considerare che il fallito golpe in Turchia, fra i tanti problemi, pone anche quello dei migranti/profughi che in questo momento si trovano in quel Paese, e cosa ne vorrà fare l’Erdogan che ha superato il momento critico da poche ore e che una qualche reazione avrà verso i “freddi amici” europei, Merkel in testa dopo il presunto rifiuto all’atterraggio del suo aereo mentre i militari ribelli scorazzavano per le vie di Istanbul e Ankara. Un aspetto poco attenzionato della delicata situazione che si è venuta a creare attualmente, tenuto conto che altri interrogativi Erdogan sta scaraventando sul tappeto, prima fra tutti il rapporto con gli Stati Uniti d’America considerati potenziali “nemici” dal momento che ospitano e “difendono” il magnate Fetullah Gulen, definito l’ispiratore del golpe militare. La decisione di “isolare” la grande base USA di Inçirlik, da dove partono i raid aerei contro il Califfato, “tagliando” la corrente elettrica, potrebbe essere una sorta di avvertimento agli USA che, fra l’altro, hanno ordinato l’allarme Delta per i loro 2200 uomini stanziati in Turchia.
Dunque per l’Italia, per la Sicilia in particolare, il “caso” migranti/profughi assume sfaccettature di varia natura. Un “caso” che pesa, ovviamente, anche sulle altre regioni del nostro Paese. Come ha scritto ieri Roberto Giovannini sul quotidiano La Stampa La situazione, a leggere le prese di posizione di molti politici locali, sembra fuori controllo. Da Alessandria a Gorizia, da Fiuggi a Fiumicino, da Messina alla Val d’Aosta, da Ventimiglia a Treviso si lancia l’allarme per l’arrivo di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo (...) Insomma, il modello italiano di accoglienza diffusa è davvero condannato a franare sotto il peso della «pressione insostenibile» delle nuove ondate di migranti? Può darsi, dicono gli esperti: ma perché è un sistema che non funziona (…) Come spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà di Trieste e uno degli «inventori» dello Sprar, il modello italiano di integrazione «in realtà non esiste». «Non c’è programmazione né coordinamento – afferma – e così si arriva a una distribuzione delle persone in accoglienza del tutto ineguale (…). E poi c’è la presa di posizione della Gran Bretagna del dopo-Brexit: il ministro David Davis ha, infatti, annunciato che i migranti europei che arriveranno in Gran Bretagna nei prossimi due anni saranno “rispediti a casa”, nel caso ci sia un’impennata di ingressi nel periodo precedente l’uscita dall’Ue.
Turchia, migranti/profughi, terrorismo (e si dovrebbe aggiungere “Libia”) sono “affari” che la Sicilia (volente o nolente) dovrà trattare. Quel che preoccupa è l’indifferenza totale su questi tempi che si registra nei politici di casa nostra.